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Morta per l'amianto sul posto di lavoro, risarciti i familiari della vittima

Anche la Corte di Cassazione ha dato torto all'azienda di Colognola ai Colli Vetrerie Riunite e alla compagnia di assicurazione. Al marito e ai due figli della vittima riconosciuto un risarcimento complessivo di 396mila euro

Foto di repertorio

Un sentenza di primo grado nel 2008, una di secondo grado nel 2014 e lo scorso dicembre quella definitiva della Corte di Cassazione. Tutte e tre si sono espresse contro l'azienda di Colognola ai Colli Vetrerie Riunite e contro la compagnia di assicurazione che quindi dovranno procedere con il risarcimento dei familiari di una dipendente deceduta nel 2005 a causa dell'amianto inalato nell'ambiente di lavoro. Al marito e ai due figli della donna è stato riconosciuto un risarcimento di 132mila euro a testa, per un totale di 396mila euro.

Giampaolo Chavan su L'Arena riporta anche alcuni estratti dell'ultima sentenza emessa su di un caso partito nel 2005. I giudici hanno giudicato «significativa» la presenza di amianto sul posto di lavoro della lavoratrice che era stata assunta in Vetrerie Riunite nel 1970. E sarebbe stata l'esposizione prolungata a questa sostanza a procurare alla donna il mesotelioma pleurico, diagnosticato nel 2004. Per questa malattia, la dipendente è morta nel 2005 e, qualche giorno dopo il decesso, il marito e i figli si sono rivolti al tribunale del lavoro per chiedere il risarcimento. I giudici, in ogni grado di giudizio, hanno dato ragione ai familiari della vittima, ritenendo «ampiamente dimostrata la colpevole responsabilità dell'azienda circa la nocività dell'ambiente di lavoro».


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