Cronaca

Verona, caso Giacino-Lodi: arriva la sentenza. L'ex vicesindaco condannato a 5 anni, la moglie a 4

I coniugi erano stati accusati per le presunte tangenti incassate da un imprenditore edile veronese, Alessandro Leardini. Quest'ultimo, a sua volta accusato di corruzione, ha confessato di aver versato alla coppia oltre 600mila euro

Lunedì era la giornata decisiva per due casi che hanno scatenato una vera e propria bufera nel mondo politico e imprenditoriale scaligero. La prima sentenza è arrivata, ora si attende la seconda sul caso Agec. L'ex vicesindaco con delega all'Urbanistica di Verona, Vito Giacino, è stato condannato a 5 anni di reclusione per concussione, in primo grado. Il giudice per le udienze preliminari, Giuliana Franciosi, ha accolto le richieste del pm Beatrice Zanotti che ha coordinato l'inchiesta fin da subito e due settimane fa aveva chiesto la stessa pena. La moglie di Giacino, Alessandra Lodi, di professione avvocato, è stata condannata a 4 anni di reclusione (anche per lei la richiesta era di 5 anni).

Il magistrato Zanotti aveva chiesto di applicare l’articolo 319 quater del Codice penale sulla "nuova" corruzione che punisce il pubblico ufficiale che, abusando dei suoi poteri, induce a dare indebitamente denaro. I reati di cui erano precedentemente accusati erano quelli di corruzione e concussione. Per il secondo, il più grave, le pene vengono stabilite tra i 5 e i 12 anni. Con la "nuova" corruzione il rischio era invece quantificabile tra i 3 e gli 8 anni. Giacino si era dimesso dal suo incarico di vicesindaco il 15 novembre, con una lettera al sindaco Flavio Tosi. Si trova agli arresti domiciliari nel suo attico coniugale, di via Isonzo, a Borgo Trento. Le motivazioni della sentenza saranno rese note fra 70 giorni.

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IL PROCESSO, LE ACCUSE - I coniugi erano stati accusati per le presunte tangenti incassate da un imprenditore edile veronese, Alessandro Leardini. Quest'ultimo, a sua volta accusato di corruzione e che per questo affronterà il processo in febbraio, ha confessato di aver versato alla coppia oltre 600mila euro per agevolare le pratiche di costruzione che gli interessavano. L'inchiesta aveva portato all'arresto di Giacino e moglie a metà febbraio 2014. Ora sono entrambi ai domiciliari nel loro appartamento-attico di via Isonzo, a Borgo Trento (già finito nelle polemiche per le ristrutturazioni).

L'operazione di arresto era stata preceduta nei mesi scorsi da una lettera anonima recapitata agli organi politici e alle Forze dell'ordine. Nella missiva si sosteneva che fosse presente un "sistema" all’interno degli uffici dell’Urbanistica funzionale al rilascio dei permessi, facente capo al vicesindaco Vito Giacino. Tale prassi, secondo l'autore di questo documento (ribattezzato il "Corvo") prevedeva che per ottenere i permessi urbanistici, fosse necessaria una consulenza dello studio legale della moglie del vicesindaco, l’avvocato Alessandra Lodi. Un altro paragrafo di questa oramai famigerata lettera, faceva riferimento ai lavori di ristrutturazione svolti dal vicesindaco e dalla consorte nel proprio appartamento di Borgo Trento, che furono affidati alla So.ve.co., ditta che figura in diversi appalti comunali, tra cui filobus, ponte San Francesco, ex Gasometro. "Dalle carte che mi sono state richieste, presumo che tutto nasca da quella famosa lettera anonima", aveva affermato lo stesso Giacino.

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Proprio da quella lettera cominciarono i guai per Giacino e moglie. La missiva anonima aveva lanciato accuse su presunte consulenze professionali tra la moglie, l'avvocato Alessandra Lodi, e pratiche per concessioni di lavori pubblici. L'accusa formulata dalla Procura era stata quella di corruzione. Sulla nascita dell'indagine, però, il procuratore capo di Verona, Mario Giulio Schinaia, aveva comunque precisato che "questa inchiesta non è nata da una lettera anonima. In Procura di anonimi purtroppo ne arrivano a bizzeffe, a tonnellate; però hanno l'esito che devono avere: vengono immediatamente cestinati. E' chiaro che se il fatto riportato dall'anonimo poi negli accertamenti che qualcuno dispone di fare trova qualche riscontro obiettivo, è sulla base di questo riscontro che noi procediamo, non certo sulla base dell'anonimo".

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Le indagini sono state portate avanti non senza qualche intoppo. A giugno era emersa la vicenda delle presunte intercettazioni "illegali" tra avvocati e i coniugi Giacino ed erano emersi commenti poco edificanti rivolti dagli ufficiali di polizia giudiziaria agli indagati.

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PAGAMENTI E CONFISCHE - In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza, si sa che il giudice ha deciso che dovranno essere risarciti Comune e imprenditore Leardini. La somma è ancora da quantificare e comunque spetta a un altro giudice: per ora è stata disposta una provvisionale di 20mila euro da pagare al costruttore. È l'ammontare dell'importo di due fatture del 2013, quelle che Leardini saldò all'avvocato Lodi per consulenze. Il giudice inoltre ha disposto la confisca dei beni che "costituiscono profitto": mobili presenti nell'attico di via Isonzo e una somma per un valore di oltre 158mila euro. La coppia resta ai domiciliari nella casa di Borgo Trento. A meno che nel processo di appello il giudice non aumenti le pene Giacino e Lodi non finiranno in carcere.

LE REAZIONI ALLA CONDANNA - A poche ore dalla sentenza di condanna in primo grado arrivano dunque le prime reazioni della politica: "Ciò conferma che la gestione dell'urbanistica a Verona era retta da un sistema opaco e dai tratti criminosi che portava a favorire qualcuno a scapito di altri - ha voluto commentare il capogruppo Pd in Consiglio comunale, Michele Bertucco - esattamente come avevo rilevato nell'esposto a suo tempo presentato alla Procura, l'unico che risulti agli atti del processo appena concluso. Con ciò non voglio negare all'ex vicesindaco la possibilità di esperire tutti i gradi di giudizio previsti dal nostro ordinamento ma rimarcare l'assoluta necessità di fare chiarezza nel sistema delle assegnazioni su cui grava la minaccia della corruzione che con la sentenza odierna diventa molto di più di un mero sospetto o di una diceria. Tanto più che in un settore così complesso non è possibile né immaginabile che una sola persona possa manovrare tutto da sola senza il supporto di complicità e connivenze".

Parole rilanciate anche dal segretario provinciale Pd, Alessio Albertini: "Pur dovendo attendere la sentenza definitiva, la condanna per corruzione all'ex vicesindaco Giacino è un fatto in sè grave, perchè un Tribunale di primo grado, dopo aver raccolto le prove e sentite le difese, ha stabilito che un amministratore del Comune di Verona, per di più vicesindaco della città, ha commesso un reato grave, quello di corruzione. Oggi ancor di più riemerge la domanda che molti veronesi in questi mesi si sono fatti sul sindaco Tosi: come può amministrare una città difficile come Verona un sindaco che non si accorge del comportamento del suo braccio destro, il suo vicesindaco, il promotore della sua Fondazione che dovrebbe illuminare l'Italia? Da tempo andiamo dicendo che la città è abbandonata a se stessa, con un sindaco distratto dalla sua carriera nazionale che abbandona la sua giunta ed i suoi uomini a gestire la città in modo improvvisato, per nulla trasparente e, se la condanna dovesse essere confermata, talvolta anche criminoso".

A muovere un attacco contro il sindaco Tosi sono anche i parlamentari veneti del Movimento 5 Stelle: "Flavio Tosi non poteva non conoscere l'operato del suo vice, Vito Giacino. E se non sapeva nulla, allora è inadatto a ricoprire un ruolo che prevede anche l'onere del controllo. Entrambi i casi devono portare alle sue dimissioni. Se Tosi e i suoi sapevano cosa stava facendo Giacino – è il commento dei deputati e dei senatori veneti del Movimento 5 Stelle – ovviamente sono dei collusi. Se non lo sapevano sono comunque inadatti a ricoprire un ruolo che richiede anche un attento controllo sulle attività e sulle persone”.


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