Eventi

Il grande chef Giancarlo Perbellini presenterà il suo nuovo libro il 4 dicembre alla Società Letteraria di Verona

Giancarlo Perbellini festeggia l’imminente apertura del suo nuovo ristorante raccontando in un libro la sua vita, le sue sfide, le sue ricette.

Casa Perbellini: prende il nome dal prossimo ristorante dello chef veronese il nuovo volume della collana Giunti Grandi Cuochi. Nel libro la vicenda di un giovane chef, erede di una famiglia di rilievo nell’ambito della pasticceria, che sceglie di percorrere la propria strada formandosi a fianco dei grandi, in Italia e Francia. La prima sfida imprenditoriale, a lui molto cara, risale al 1989 e sta nella coraggiosa scelta di aprire il Ristorante Perbellini a Isola Rizza, sulla Verona-Rovigo: tenacia, impegno e talento verranno premiati dalla prima stella Michelin nel 1996 e dalla seconda sei anni più tardi. Nel tempo vi affiancherà la Locanda estiva al Forte Village, in Sardegna, quattro ristoranti e una pasticceria a Verona, gestiti con alcuni soci e quest’anno la Locanda a Hong Kong. 

E ora, a brevissimo, la novità che sta facendo parlare il mondo dei gourmet: dopo l’abbandono di Isola Rizza, l’apertura di Casa Perbellini nel cuore di Verona, in piazza San Zeno proprio di fianco alla basilica. Dopo l’ampia sezione curata dal giornalista Stefano Alfonsi dedicata alla vita e alla filosofia di Perbellini, il libro propone un corposo ricettario suddiviso in Benvenuti, Antipasti, Primi piatti, Secondi piatti, Dessert e Preparazioni di base, illustrato dalle fotografie di Francesca Brambilla e Serena Serrani. Tra le tante ricette per le quali è noto e apprezzato, “Wafer al sesamo con tartare di branzino”, “Caldofreddo di risotto mantecato all’olio di finocchio”, “Caviale affumicato e zabaglione ghiacciato”, “Colori e Sapori del mare”, che come tutte le sue creazioni testimoniano di una cifra personale ben caratterizzata: volutamente a margine delle mode e basata sui fondamenti della tradizione.

Giovedì 4 dicembre affiancheranno lo Chef il co-autore del volume Stefano Alfonsi, la Presidente della Società Letteraria Daniela Brunelli e Giovanni Rana, amico e partner di Perbellini in importanti avventure professionali. La presentazione del libro sarà anche una preziosa occasione per discutere di eccellenza enogastronomica e di valorizzazione del territorio attraverso la cultura del cibo. Al termine, aperitivo firmato dallo Chef.

Dal libro

Un’idea di cucina

In partenza, il pensiero di diventare un grande chef era lontano anni luce dalla mente di Giancarlo Perbellini: «La fase dell’apprendimento non l’ho decisa io: puntavo a passare le stagioni estive negli alberghi, papà invece preferiva la via dei ristoranti di qualità. Come si vede, ha scelto lui. Il Marconi interpretava la classica cucina italiana con una cura maniacale dei particolari, al Desco si andava alla ricerca di qualcosa di Ufficio Stampa
Silvia Ferrari | 0257547453, 3480807859 | s.ferrari@giunti.it nuovo per tentativi. Capii le differenze al San Domenico, un meccanismo che in Italia era agli albori con una cucina gourmet e banchettistica e un’enorme brigata di cucina. E a seguire la Francia, tappa obbligata per chi vuole fare questo mestiere dove apprendi rigore e metodologia. Da Taillevent avevano 140 coperti a mezzogiorno e 140 la sera, le comande le chiamavano col microfono. E Bernard Pacaud de L’Ambroisie saliva su un camion con 100 casse di porcini e ne sceglieva tre, non andava ai mercati generali ma si rivolgeva a pochi fornitori di fiducia, non aveva freezer e sottovuoto. Il suo era un ristorante anomalo, basato sulla semplicità».

Questo ed altro (come un quadernetto nel quale annotava le ricette nel periodo francese, e a fondo pagina aggiungeva idee per l’apertura del suo locale) ha permesso a Giancarlo Perbellini di sviluppare una precisa identità per la sua cucina: «Per “Colori e Sapori del mare” mi sono ispirato all’“Atto Unico” di Gualtiero Marchesi, il “Wafer al sesamo con tartare di branzino, caprino all’erba cipollina e sensazione di liquirizia” è stato ripreso dalla sfogliatina al sesamo di Pacaud elaborata a modo mio». Di altri famosi chef Perbellini si è professionalmente innamorato: «Adoro Marc Veyrat e la sua cucina basata sulle erbe: quando l’ho conosciuto, ho alleggerito i miei piatti. Ho mangiato da lui 8-10 volte, ricevendo da ognuna di esse stimoli che mi portavo dietro per almeno tre mesi. Guardo con attenzione agli spagnoli fratelli Roca, geniali nella modernità ma molto pratici; all’inizio erano superiori ad Adrià, secondo il mio gusto».

Negli ultimi dieci anni Giancarlo ha intrapreso una via sempre più personale: più creativa in patria, vedi ad esempio il “Caviale affumicato e zabaglione”, meno estrosa all’estero, come adesso a Hong Kong, dove mira a far conoscere a fondo la cucina italiana e i suoi prodotti.
«Ho voluto, di proposito, restare al margine delle mode, senza per questo snobbare nessuno, ma provando a imporre una cucina che mi piacesse. Non sono mai ricorso all’uso dell’azoto liquido: si può farne a meno e offrire lo stesso grandi sensazioni in un piatto. Uso brodi, fondi, consommé da venticinque anni, li ritengo la base della classicità che va unita alla padronanza del mestiere». Con l’avvio della Locanda, dal 2010 – attivo per due mesi ogni estate al Forte Village davanti alla bellissima spiaggia di Pula, in Sardegna – l’obiettivo è stato quello di proporre e valorizzare il made in Italy enogastronomico rivisitato con estrema sobrietà. È a questo punto che emergono i concetti base della persona che si è imposta come una delle figure di spicco della nostra ristorazione nell’ultimo ventennio. «Ho proposto – spiega – il carrello dei dessert quando nessuno ci pensava. I dessert, da giovane, non li amavo: li ho affrontati per una sfida con me stesso. Cerco, ogni tanto, di andare controcorrente perché è un peccato dimenticare quanto già abbiamo e non sfruttiamo. Mi pare che molti, nel nostro mestiere, desiderino diventare artisti scordandosi così l’artigianalità. Forse bisognerebbe puntare meno sull’estetica e più sull’etica del gusto. Confesso che sulla ricerca del gusto sono ossessivo».

Una caratteristica essenziale di Perbellini è la curiosità: la curiosità di girare, vedere, confrontarsi, assaggiare, sperimentare (più volte); curioso di capire, con la forchetta in mano, chi lavora meglio di lui e ancora pronto a stupirsi quando esce a mangiare, che sia super ristorante o comune trattoria poco importa. Non solo. Dietro l’aspetto della persona bene educata, riservata, poco propensa a esporsi pubblicamente, che può apparire timida, si nasconde la tempra di un soggetto caparbio, determinato, estroso, deciso a non mollare mai, che si può tentare di comprendere attraverso il suo motto preferito: «Il gusto non ha traguardi». 

Nella classifica personale delle sue invenzioni, Perbellini inserisce otto piatti: in testa “Colori e Sapori del mare”, un insieme di marinati e cotti pensato di notte in un periodo in cui andavano per la maggiore i piatti unici («a un certo punto ho pensato di toglierlo dalla carta ma la clientela ha protestato, su richiesta c’è sempre»); poi il “Wafer al sesamo con tartare di branzino, caprino all’erba cipollina e sensazione di liquirizia”, il “Caviale affumicato e zabaglione ghiacciato”, il “Caldofreddo di risotto mantecato all’olio di finocchio e vellutata di pomodoro fresco”, il “Guanciale di vitello brasato, purè di patate e porri fritti” che è nella storia del locale, la rivisitazione del “Risotto mantecato al leggero profumo di cannella e maialino da latte cotto allo spiedo”, la “Millefoglie Strachin”, simbolo della pasticceria Perbellini e dal 2013 in versione originale («leggerissima, assomiglia a una nuvola, la serviamo solo al ristorante»), infine la “Composizione per cassata”, più leggera della tradizionale.

Dietro a queste portate ci sono studio, ricerca, idee, se vogliamo una filosofia chiamata a trovare un’applicazione pratica e a non rimanere semplice enunciazione. La cucina di qualità, secondo Giancarlo Perbellini, è «un mix di fattori, estro e precisione, spontaneità. Si fanno cose che magari si assomigliano ma con sfumature diverse, mai uguali. Ed è importante non lasciarsi attrarre dal complicato: la semplicità è fondamentale, l’ho compreso con gli anni. Una volta portai un amico da Marc Veyrat consigliandogli un lavarello, pesce banale. Lui non voleva, si arrese e dopo averlo mangiato cambiò opinione. A volte basta poco, un solo ingrediente – penso al pollo che propongo a Hong Kong – per ottenere un buon risultato. A tavola si deve “ascoltare” quello che si mangia, i gusti che entrano ed escono devono essere una sorpresa continua. E “conservare attualizzando” è un concetto da tenere ben presente».


Si parla di