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Al centro culturale Habitat Ottantatre la mostra "Scalfire la Superficie"

Sabato 25 marzo alle ore 11.30 inaugura la prima mostra personale organizzata dall’associazione di promozione sociale In Habitat, presso il centro culturale Habitat Ottantatre. "Scalfire la Superficie" è un progetto espositivo che presenta sette lavori inediti dell’artista Max Mondini, realizzati appositamente per gli spazi espositivi di Habitat Ottantatre, curato da Edorado Durante, con la direzione artistica di In Habitat. 

L’evoluzione mediatica ha prodotto un’epoca di saturazione di immagini e di segni, nella quale il pieno sovrasta il vuoto e la frenesia tende ad annullare la riflessione. La tecnologia genera e allo stesso tempo offre la possibilità di innescare un processo di smaterializzazione e sottrazione della presenza. L’ambiente tecnoculturale in cui viviamo favorisce lo sviluppo di ricerche artistiche che, a questo proposito, ignorano la separazione tra composizione e interpretazione. Le opere esposte con Scalfire la Superficie, infatti, suggeriscono una sorta di processo di appropriazione negli occhi di chi osserva, superando il semplice concetto di interpretazione.

Quello di Max Mondini è un immaginario ibrido, al confine tra figurazione e astrazione, all’interno del quale non c’è possibilità per una comprensione oggettiva, univoca. L’artista inizia la propria ricerca esplorando un bacino di fonti estremamente ampio, immagini di diversa origine compongono un archivio in continua espansione, grazie al quale rielabora i sistemi compositivi e tenta di entrare in contatto con l’emotività e la sensibilità di chi queste immagini le ha create originariamente. Il processo creativo dell’artista, si distingue attraverso il sistematico riutilizzo di immagini già esistenti, prassi metodologica e la conseguente disposizione razionale e simultaneamente caotica di questi elementi ricontestualizzati. «Invito a riflettere su ciò che l’opera già ci comunica - sostiene Mondini e prosegue - L’arte non ha a che fare con la creazione di cultura, al contrario l’opera è in qualche modo il risultato finale di una cultura, dal momento che tutte le sue componenti spingono l’artista a creare l’opera».

Con le opere di Mondini i registri iconici si intersecano; scalfita la superficie, le forme vengono decostruite e ricontestualizzate ottenendo così un universo formale coerente che favorisce lo scambio e il dialogo polisensoriale. Superato il dualismo ontologico tra oggetto e immagine, è chiaro come il bacino a cui l’artista attinge sia la società in cui viviamo; la realtà abitata da ciascuno di noi diventa, in questo caso, il suo archivio. Il rapporto con le immagini preesistenti, infatti, è tutt’altro che passivo, Mondini se ne impossessa attraverso una sorta di movimento iconoclasta, un continuo processo di distruzione e ricostruzione. Le immagini non rivendicano alcuna verità assoluta, il lavoro della mano dell’artista, a tratti pittorico, è più che evidente.

Nato in risposta alla sempre più ossessiva e bulimica proliferazione di immagini, il lavoro di Mondini offre una doppia percezione del digitale, punto di partenza costante per la sua produzione artistica: un’analitica, attenta e in stretta relazione con gli aspetti più tecnologici e legati al medium, e una, al contrario, sintetica, ovvero legata alle immagini mentali che risultano nella nostra percezione dell’opera. Le opere in mostra, infatti, presentano alcune difficoltà di lettura ed interpretazione, sospendono e disorientano chi le osserva; allo stesso tempo però, le immagini si manifestano e vengono consumate da colui che dona loro la vita, l’osservatore stesso, proprio come una candela che, bruciando, si distrugge. 


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