Politica

Zaia sul Dpcm: «Non cambierà curva contagio. Usate la mascherina o avremo ospedali pieni»

Il governatore: «La curva dei contagi con le misure che si sono prese non avrà tutte queste modificazioni». L'appello ai cittadini: «Utilizzate in maniera ossessiva la mascherina»

Il presidente del Veneto Luca Zaia - foto Facebook

«Io penso che noi veneti non siamo degli irresponsabili, da febbraio abbiamo subìto un lockdown pesante e lo abbiamo rispettato. Penso ai ristoratori, alle palestre, alle altre attività che oggi vengono colpite e che hanno fatto grandi investimenti per tutelare la salute dei lavoratori e dei propri clienti. Andare a dire a queste categorie che chiudendo le loro attività si dovrebbe modificare la curva del contagio, staremo a vedere se è davvero così...». Con queste parole tra l'amareggiato ed il polemico il presidente della Regione Veneto Luca Zaia ha commentato in un'intervista televisiva le ultime misure contenute nel Dpcm in vigore da oggi, lunedì 26 ottobre.

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Luca Zaia ha quindi evidenziato le richieste fatte da parte dei presidenti di Regione al governo, concretizzatesi in una missiva che, tuttavia, è però nei fatti rimasta pressoché "lettera morta": «C'è un dato, - ha dichiarato il presidente Zaia - e cioè che noi come Regioni abbiamo chiesto di modificare il Dpcm e di ascolto però non ce n'è stato. Quindi di fatto il governo ha scelto da solo di battere questa strada senza accogliere la minima modifica richiesta dalle Regioni. Penso che questo sia emblematico perché non è mai accaduta una cosa del genere».

Il presidente del Veneto Zaia si è dunque concentrato sui rischi economici connessi alla stretta che il Dpcm impone: «Molte di queste imprese rischieranno di non aprire più, - ha spiegato Zaia - c'è grossa preoccupazione. Abbiamo sentito dal presidente Conte che arriveranno subito le risorse, speriamo che sia così e staremo a vedere. Molti ancora però stanno aspettando la cassa integrazione in deroga». In merito poi alla scelta di limitare il servizio al tavolo nei locali dalle 5 fino alle 18, il governatore del Veneto si è soffermato sui dati epidemiologici che non darebbero riscontri tali da giustificare tale misura: «Noi non abbiamo contezza di focolai nei ristoranti, - ha chiarito subito il presidente del Veneto Luca Zaia - i ristoratori si sono mossi con prudenza e hanno rispettato le linee guida, a questo punto chiudere ali attività significa che, indirettamente, si vuole confermare che tutto quello che è stato fatto sino ad ora non serviva».

L'analisi del presidente Zaia si è quindi concentrata sulla cosiddetta seconda ondata della pandemia: «La verità è che l'ondata è arrivata, il Veneto ha il 96% dei positivi che non sono sintomatici, cioè non sviluppano tosse, raffreddore, diarrea o altre patologie. Abbiamo oggi una pressione negli ospedali, che è poi la vera sfida di oggi, pari a circa 77 persone in terapia intensiva mentre a marzo avevamo 111 persone in terapia intensiva e il 29 marzo avevamo già raggiunto la punta con 356 persone. Oggi ne abbiamo 77 e abbiamo poco più di 600 persone ricoverate nei vari reparti. Pressione ce n'è ed è inevitabile, però è pur vero che noi siamo pronti con l'artiglieria pesante in caso di difficoltà, ma è altrettanto vero che, lo dico con una punta di scetticismo, la curva dei contagi con le misure che si sono prese non avrà tutte queste modificazioni». 

Il governatore Luca Zaia ha poi chiarito: «In Veneto la situazione per il momento è sotto controllo, siamo in una fase di "semaforo arancione", poi è pur vero che questo è un virus che non conosciamo ancora bene, è altrettanto vero però che le cure funzionano meglio tanto che l'ospedalizzazione non è più di quattro settimane ma in media di una settimana. Siamo pronti a passare dalle 494 terapie intensive di base disponibili, alle oltre 1.000 che abbiamo predisposto qualora ne avessimo necessità. Ai cittadini faccio un solo appello: evitate gli assembramenti ed utilizzate in maniera ossessiva la mascherina, perché altrimenti riempiremo gli ospedali, cureremo i pazienti Covid ma non riusciremo a curare altri pazienti che ne hanno bisogno e che rischiano ovviamente di trovare gli ospedali pieni».


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