Fonderia 20.9 Un nuovo spazio dedicato alla fotografia | Sguardi dall’isola degli “uomini infami”: Gone to the dogs
Venerdì 23 ottobre nasce a Verona un nuovo spazio dedicato alla fotografia. Si tratta di Fonderia 20.9, in via XX settembre 67° non lontano dalla vecchia fonderia Cavadini attiva fino al 1974 nella produzione di campane. Un luogo d’incontro per appassionati e curiosi, artisti fotografi o semplici amatori, che abbiano la voglia e la disponibilità di condividere idee, competenze, o anche proporre nuovi progetti personali. Ma si tratta innanzitutto di uno spazio espositivo, dove in occasione dell’inaugurazione, venerdì alle ore 19:00, sarà presentato il fotoprogetto Gone to the dogs | In pasto ai cani, realizzato dal Collettivo Domino.
Sette fotografi di diversa provenienza e con un percorso di studi comune, la Scuola Romana di Fotografia, uniti dalla voglia di creare qualcosa insieme in campo fotografico. Il gruppo non aveva ancora un nome quando, sulla scorta della lettura del libro La città e l’isola di Goretti e Giartosio, nacque, circa un paio d’anni fa, l’idea per realizzare il progetto Gone to the dogs. Il libro in questione ripercorre un episodio della nostra recente storia italiana che è rimasto ai più sconosciuto: si tratta dell’arresto e della successiva deportazione, durante il regime fascista, di numerosi uomini giudicati degli “invertiti”, degli arrusi secondo l’espressione del dialetto locale, i quali furono prelevati nel 1939 dalla città di Catania, e in seguito condotti forzatamente sull’isola di San Domino Tremiti (da cui appunto prende il nome il Collettivo). Qui un centinaio di persone si trovò costretta a vivere segregata in mezzo al mare, abitando all’interno di “cameroni” dei quali oggi è scomparsa ogni traccia. Lavoravano nei campi di proprietà dell’unica famiglia che all’epoca abitava l’isola ed erano vincolati a un lungo elenco di norme prescrittive, oltre che sottoposti al controllo dei militari che li sorvegliavano. La desolazione che il luogo ispirava, fece dire a uno dei tanti omosessuali deportati dal regime, non appena sbarcato sull’isola, “qui ci mandano in pasto ai cani”.
Gone to the dogs nasce dunque innanzitutto con l’intento di lasciar riaffiorare alla memoria una vicenda che gli stessi attuali abitanti del posto preferiscono non ricordare, nutrendosi peraltro della ricerca svolta dai fotografi stessi all’interno dell’Archivio di Stato a Roma, il cui frutto sono le numerose cartelle biografiche, portate finalmente alla luce, che furono stilate dalla polizia del tempo per ciascuno dei deportati. Una vera e propria schedatura di tutti quei soggetti che vennero giudicati indegni di vivere con il resto della comunità e perciò confinati altrove. Le foto segnaletiche dei deportati, alcune delle quali sono esposte in mostra, rivelano sguardi anodini, volti comuni che stridono nel contrasto con le brevi frasi connotative riportate a fianco da qualche ufficiale di polizia, nell’intento di segnalarne la presunta “mostruosità”. Poche parole destinate a marcare in un giudizio istantaneo, il segno dell’infamia inflitto dal potere. La paradossalità di queste vite, come ebbe modo di rilevare Michel Foucault in un suo articolo dal titolo La vita degli uomini infami, sta appunto nel fatto di essere vite “infime” prim’ancora che “infami”, sopravvissute fino a noi, e a fatica, soltanto perché a un certo punto si sono scontrate con il potere, suscitandone la reazione violenta. Anche quella degli arrusi dell’Isola di San Domino, anzitutto non è altro che una vita infame, perché letteralmente senza voce, senza voce in capitolo (all’interno del grande libro della Storia). Uomini le cui vite sono ricordate soltanto attraverso le poche e solenni parole che il potere ha inscritto nella loro viva carne, giudicandoli indegni di vivere nella collettività e finendo così con il raddoppiarne l’infamia.
Come dunque poter restituire uno spazio d’apparizione legittimo a tutte quelle vite che confluirono forzatamente sull’Isola di San Domino, proprio perché fossero sottratte agli occhi del resto della popolazione? La risposta che il fotoprogetto Gone to the dogs sembra suggerire, è che soltanto indagando anzitutto quegli stessi luoghi, rivisitandoli a distanza di oltre mezzo secolo, è forse possibile cogliere per immagini le tracce sedimentate della vergogna e della violenza imposte da alcuni uomini ad altri esseri umani. Non che sull’isola di San Domino esistano numerose testimonianze sensibili di questa triste vicenda: persino i testimoni diretti presenti allora, sono oramai pochi e decisamente restìi a raccontare quel che di essa ricordano. Piuttosto, ciò che emerge dalle fotografie raccolte in questa esposizione, sono gli stessi sguardi carichi di memoria che i sette fotografi, impegnati in un’operazione al confine tra il reportage e la reinvenzione del reale, hanno lasciato accadere e fissato attraverso le loro macchine fotografiche. Da qui anche l’esigenza per gli appartenenti al Collettivo Domino di visitare tutti quanti insieme, nel periodo invernale, quegli ambienti naturali che un tempo furono la prigione dei cosiddetti arrusi.
Un sopralluogo che ha impegnato i fotografi per oltre due settimane, durante le quali si sono trovati a rivivere a modo loro, le condizioni di isolamento e abbandono all’interno dell’isola, caratteristiche di San Domino durante il periodo centrale del secolo scorso. Oggi certamente l’isola è molto cambiata, conosciuta per essere anche luogo di villeggiatura in estate, resta comunque una realtà scarsamente abitata e in un certo senso indipendente. Un estraniamento dal resto della comunità che fu certamente un tratto tipico della condizione dei confinati omosessuali, e che in un certo qual modo le fotografie in mostra ci aiutano finalmente a vedere, restituendocene in trasparenza il senso, attraverso una serie di sguardi strappati dal tessuto visivo dell’isola di San Domino. La bellezza incantevole di questi luoghi, si trova dunque a confliggere in immagine, con il portato di violenza e segregazione che in essi si è silentemente stratificato nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Gone to the dogs | In pasto ai cani, a suo modo contribuisce a donare una nuova luce a quelle vite senza voce che, durante gli anni del regime fascista, popolarono San Domino; vite destinate altrimenti alla luminosità opaca di una foto segnaletica, quale unica forma di visibilità loro concessa.
La mostra Gone to the dogs resterà visitabile fino al 10 novembre, mentre lo spazio dell’associazione culturale Fonderia 20.9 sarà aperto per tutti gli interessati dal mercoledì al sabato, previo tesseramento. Al suo interno, sarà possibile usufruire della connessione internet ed è inoltre già predisposta una ricca biblioteca con testi in consultazione libera dedicati alla fotografia e alle arti visive. In programma ci sono poi già altre due mostre: una a partire dal 20 novembre che vedrà protagonista Carlotta Cardana, fotografa italiana che vive e lavora a Londra, e un’altra dal 12 dicembre con le opere del fotografo di Reggio Emilia Piergiorgio Casotti. Gli artisti che di volta in volta esporranno le loro opere, saranno sempre presenti per incontrare il pubblico e in alcuni casi terranno anche dei piccoli workshops ai quali sarà possibile partecipare.
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